La Seconda guerra punica è, probabilmente, la guerra più grande e distruttiva di tutta l’antichità. Segnò la fine dello scontro per la supremazia nel Mediterraneo, consolidando la supremazia di Roma sull’intera penisola italica e fino in Iberia.
Ma si trattò di una vittoria difficile per Roma: la campagna di Annibale Barca nella penisola italica, raggiunta attraversando le Alpi con grande rischio, portò Roma sull’orlo della rovina. Le sconfitte disastrose sulla Trebbia, sul Lago Trasimeno e a Canne, frantumarono la fiducia degli alleati di Roma e furono sul punto di causare l’implosione della Repubblica.
La genialità di Annibale come stratega e tattico era innegabile: fu lui ad avvicinarsi più di ogni altro, fino ad allora e in seguito, alla distruzione dei Romani, ma il suo fallimento consistette nel sottovalutare la loro capacità di resistenza. Dopo aver resistito al peggio dell’attacco di Annibale, Roma rispose grazie al genio di Scipione e, infine, il sogno di Cartagine vide la sua fine cruenta sul campo di battaglia di Zama.
Molti resoconti riguardo alla Seconda guerra punica vengono da Polibio e Livio, entrambi non ancora nati al tempo degli eventi, e che scrissero la storia unicamente dal punto di vista di Roma. Polibio, in particolar modo, è famoso per essere apertamente critico nei confronti di Cartagine (si dice che fosse presente alla distruzione finale dell’antica capitale) e della famiglia Barca, nonostante egli non fosse romano e i suoi scritti fossero rivolti ai lettori greci.
Sebbene i giochi di potere di Giulio Cesare e la nascita dell’Impero romano per mano di Ottaviano fossero ancora di là da venire, la vittoria di Roma su Cartagine e i suoi confederati gettò le basi che fecero di Roma una vera superpotenza.
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